Aumenta in tutto il mondo il numero degli allevamenti di ovaiole che adotta i sistemi “a terra”. L’Italia ha compiuto progressi importanti, insieme agli altri Paesi europei. La conferma nelle analisi delle associazioni animaliste. Lo riporta agronotizie.
Le gabbie stanno scomparendo dagli allevamenti di galline ovaiole. Lo conferma un recente report di Owa, (Open Wing Alliance), organizzazione a carattere animalista che dell’eliminazione delle gabbie negli allevamenti ha fatto la propria “mission”.
Eccellenti i risultati raggiunti a livello mondiale, dove l’impegno all’abbandono delle gabbie in favore dei sistemi a terra è stato rispettato nel 92% dei casi.
Un risultato che non stupisce se si pone attenzione alle etichette con le quali sono commercializzate le uova, nella maggior parte dei casi provenienti da animali allevati a terra.
Gabbie sì e gabbie no
L’eliminazione delle gabbie è uno dei cavalli di battaglia dei movimenti animalisti, fra questi Animal Equality, membro italiano di Owa, che ha accolto con soddisfazione quanto emerso dal report della stessa Owa.
Un’indiscutibile testimonianza dell’ottimo lavoro sin qui svolto negli allevamenti avicoli.
Sull’onda di questi risultati sarebbe però sbagliato puntare sempre il dito contro le gabbie, che opportunamente dimensionate e “arricchite” possono garantire un adeguato benessere alle ovaiole.
Esistono poi casi, come per le scrofe dopo il parto, nei quali la presenza della gabbia, per il solo tempo necessario, si rivela preziosa per assicurare la sopravvivenza dei suinetti.
Anche in questo caso gabbie dimensionate e strutturate in modo appropriato, con attenzione al benessere animale.
Un buon lavoro
Intanto non resta che apprezzare il lavoro sin qui svolto in campo avicolo, che in larga maggioranza ha rispettato gli impegni per la riduzione dell’impiego delle gabbie.
Già nel 1999 una direttiva comunitaria aveva affrontato questo tema incoraggiando l’abbandono delle gabbie negli allevamenti avicoli.

A pochi anni di distanza, nel 2003, l’Italia aveva accolto le indicazioni di questa direttiva in un proprio decreto legislativo che ha portato al divieto di costruzione delle gabbie per le ovaiole, con l’eccezione per quelle “arricchite”. Ma anche queste ultime potrebbero essere bandite nei prossimi anni.
Italia meglio degli Usa
Restando in Italia, il 65% degli allevamenti di ovaiole ha abbandonato le gabbie, una percentuale più bassa rispetto al resto d’Europa, che in media ha raggiunto il 96%.
Ma l’Italia ha fatto assai meglio degli Stati Uniti, fermi al 45,7%.
In entrambi i casi parliamo di Paesi che figurano fra i “big” delle produzioni avicole mondiali.
Colpisce nel report di Owa il buon risultato di Africa (88%) e dell’Asia (86%).
Ma in questo caso più che le percentuali sarebbe utile conoscere l’entità del patrimonio animale preso in considerazione per il continente africano o la “profondità” delle analisi in un territorio vasto e molto articolato come l’Asia.
Stop alle gabbie?
Ora l’appuntamento è per il 2027, data sulla quale la Commissione Europea sta ragionando per fissare l’addio definitivo a ogni tipo di gabbia e per ogni animale.
Questo è almeno quanto vorrebbero gli attivisti che hanno promosso l’iniziativa “End the cage age” (fine dell’era delle gabbie) con la firma di tanti cittadini europei.

Forse non tutti consapevoli della valenza della loro firma su questa petizione e delle conseguenze pratiche per migliaia di aziende zootecniche e per gli approvvigionamenti di alimenti di origine animale.
Imbrigliare inutilmente le imprese zootecniche europee potrebbe aprire le porte a prodotti importati da luoghi ove il benessere animale è del tutto disatteso, se non persino sconosciuto, senza dimenticare il tema ancora più importante della sicurezza.
Scelta complessa
Sarà anche per questo che pur a fronte del parere favorevole del Parlamento Europeo, la Commissione Europea sia ancora restia a trasformare in legge i progetti targati “End of cage age”.
Abolire sempre e comunque le gabbie implica una preventiva e realistica analisi dell’impatto sul settore produttivo e sulle conseguenze di carattere economico, per i produttori, ma anche per i consumatori.

Impegnativo potrebbe essere anche il carico economico conseguente alla necessità di accompagnare i produttori verso questa transizione.
Infine l’incidenza sulla competitività della produzione europea nei confronti dei mercati internazionali.
Conoscere per decidere
Ben venga dunque il benessere animale e l’addio alle gabbie se questa ne fosse la condizione “sine qua non”. Ma come gli addetti ai lavori sanno (e con essi gli esperti e gli scienziati che studiano questa complessa materia), a volte la gabbia può rappresentare un riparo per quegli stessi animali e non uno “strumento di tortura”.
Meglio allora procedere con cautela e soprattutto con cognizione nel legiferare su questa materia.
Intanto prendiamo nota dei risultati raggiunti, plaudendo a quei produttori avicoli che, a volte anticipando gli obblighi normativi, hanno migliorato gli standard di benessere animale nei loro allevamenti.